martedì 1 marzo 2022

Quando la Sicilia sfidava Bisanzio

Forse non in molti sanno che durante il Medioevo, la terra di Sicilia era ben diversa da com’è ora. Il Regno di Sicilia istituito da Ruggero II nel 1130 vanta notevoli primati europei, innanzitutto fu il più grandeil più antico e il più importante degli stati della penisola italiana poiché includeva, oltre all’isola tutto il sud Italia. Il suo parlamento fu il primo parlamento in senso moderno di uno stato sovrano, il Regno fu il più longevo, durò infatti ben 686 anni, dal 1130 appunto al 1816, anno in cui il regno confluì nel Regno delle due Sicilie.

Il Regno di Sicilia si dotò di un ordinamento giuridico all’avanguardia per l’epoca, una vera e propria costituzione che riordinò l’ambito civile, militare, giuridico, ed ecclesiastico. Non in molti sanno anche che il Regno di Sicilia sfidò i musulmani, sconfiggendoli in più occasioni e riuscendo anche tra il 1135 e il 1160 a creare un vero e proprio Regno d’Africa che comprendeva tutta la zona costiera e parte dell’entroterra della moderna Tunisia fino alla libica Tripoli.

Le conquiste in territorio greco-bizantino furono frutto di un periodo di belligeranza con l’Impero Bizantino che durerà secoli, dalla conquista dell’Italia meridionale fino al 1185, anno in cui si concluse l’ultima spedizione militare in territorio bizantino. Il Regno controllò anche se per brevi periodi e anche con alleanze dinastiche, oltre che con la guerra, l’Epiro (dal 1259 al 1266), le isole greche di Cefalonia, Corfù (dal 1259 al 1401) e Itaca (dal 1185 al 1302), la città di Salonicco, antica Tessalonica, (dal 1185 al 1204), nel trecento il ducato di Atene (dal 1312 al 1381) e Malta (dal 1091 al 1530 anno in cui fu data in affitto perenne all’ordine dei Cavalieri). La Sicilia svolse dunque nel Medioevo il ruolo di grande potenza del Mediterraneo centrale.

Tentativo bizantino di riconquista dell’Italia (1155-58): Benché le lotte con l’Impero Bizantino coinvolsero i Normanni dal secolo precedente, il Regno di Sicilia fu trascinato nelle ostilità quando l’imperatore bizantino Manuele I Comneno, nel tentativo di riconquistare il sud Italia, invase con un esercito e una flotta il Meridione nel 1155 conquistando la Puglia. Il re siciliano Guglielmo I non fece tardare la propria reazione e l’esercito siciliano sconfisse, l’anno successivo, presso Brindisi quello imperiale, costringendo i bizantini a ritirarsi dall’Italia e a firmare un trattato di pace nel 1158 col quale si conclusero le ostilità in territorio italiano.

La controffensiva siciliana nei territori dell’Impero (1184-85): Il conflitto si riaccese nel 1184-85 sotto Guglielmo II detto il Buono quando i siciliani, con un esercito di 8000 uomini e una potente flotta composta da 300 navi, invasero i territori greci con l’intento di arrivare a Costantinopoli. Giunti a Tessalonica la conquistarono e la misero a ferro e fuoco come rappresaglia per il massacro dei Latini ordinato tre anni prima a Costantinopoli dall’imperatore stesso Andronico I Comneno. La capitale dell’Impero era ormai direttamente minacciata dall’armata siciliana che però fu decimata dalle epidemie e questo permise ai bizantini di riorganizzarsi. Il generale Alessio Brana sconfisse i siciliani per due volte consecutive, la grande flotta siciliana rientrò in Sicilia senza attaccare direttamente Costantinopoli ed evacuando Tessalonica e la Grecia. Rimasero in mano siciliana alcune isole. Negli anni successivi la flotta siciliana guidata da Margarito da Brindisi inflisse un duro colpo a quella bizantina composta da 70 navi quando, trovandola alla fonda presso Cipro, la catturò e affondò, sconfiggendo poi le truppe terrestri sbarcate a fianco di Isacco Comneno che si era autoproclamato imperatore a Cipro.

L’ultima grande flotta bizantina era così stata distrutta aprendo la strada alla futura invasione dei regni europei. Nel complesso cosa dire? Alla fine di quasi due secoli di conflitti, prima tra i normanni e l’Impero Bizantino, poi direttamente tra il Regno di Sicilia e l’Impero, il confronto portò a una sostanziale parità. I bizantini rinunciarono definitivamente all’Italia, il Regno di Sicilia mantenne il controllo del meridione fino all’Unità d’Italia e si accontentò di controllare alcune isole e territori greci astenendosi da ulteriori tentativi di conquista di Costantinopoli.

sabato 18 dicembre 2021

Il Congresso di Venezia e la Lega Siculo-Veneta: Gossip e retroscena

La battaglia di Legnano, tanto celebrata dal partito della Lega, fu combattuta il 29 maggio del 1176 tra le truppe dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Federico Barbarossa e quelle della Lega Lombarda. L’eroica difesa del Carroccio da parte degli italiani e il successivo contrattacco portarono alla disfatta dell’Imperatore. Il Congresso tenutosi poi a Venezia decise una tregua di 6 anni. Pochi sanno però quali furono i retroscena che portarono alla battaglia e il contributo che il Regno di Sicilia e quindi i Siciliani apportarono alla vittoria dei comuni del nord Italia e al successivo trattato di pace.

Gli antefatti sono i seguenti: La Lega Lombarda aveva due anime, una lombarda appunto e una veneta. I Veneziani negli anni precedenti alla battaglia si trovarono in grave difficoltà, pressati dall’Impero Bizantino da un lato e dal Sacro Romano Impero dall’altro. Si rivolsero quindi al potente Regno di Sicilia allora retto da un ottimo sovrano, re Guglielmo II detto il Buono. A quell’epoca il Regno di Sicilia era florido, aveva un temibile esercito e una potente flotta forte di 200 vascelli.

L’Imperatore Bizantino Manuele I Comneno era adirato con i Veneziani perché questi non volevano pagare i tributi per i diritti commerciali concessigli nell’area dell’Impero, aveva quindi sequestrato le ricchezze e le merci dei loro mercanti, li aveva cacciati da Costantinopoli e conquistate le città venete della Dalmazia dove i Veneziani avevano importanti empori commerciali.

I Veneziani allora chiesero aiuto al Re Guglielmo II inviando ambasciatori per sottoscrivere la nascita della ventennale Lega Siculo-Veneta nel 1175. Il Regno di Sicilia entrava nella Lega Lombarda e con questa alleanza Venezia ebbe la protezione delle navi da guerra siciliane, rafforzò i privilegi mercantili nel fiorente Regno di Sicilia e ottenne cospicui aiuti in denaro che divise a Pontida con i Lombardi della Lega Lombarda.

L’imperatore Bizantino per evitare una guerra con il potente Regno di Sicilia venne a patti con Venezia e i Siciliani. Risolto il problema orientale si arrivò allo scontro con il Barbarossa che era sceso in Italia per ridurre i comuni del nord sotto il suo controllo. Seguì la battaglia di Legnano e, dopo la vittoria italiana, nel maggio del 1177 si arrivò al Congresso di Venezia. Fu il più importante congresso del Medioevo e durò da maggio a luglio, vi parteciparono l’Imperatore, i Siciliani, i rappresentanti della Lega e dei comuni, il papa Alessandro III che giunse a bordo della flotta siciliana, e anche gli ambasciatori di Francia e Inghilterra come osservatori.

Dopo la minaccia di abbandonare le trattative da parte dei Siciliani e un tumulto del popolo veneziano a favore di questi ultimi, l’Imperatore Federico Barbarossa si vide costretto a scendere a miti consigli e a firmare una pace della durata di 6 anni con la Lega Lombarda e stipulò una tregua di 15 anni con il Regno di Sicilia. La Sicilia quindi non solo aiutò Venezia e la protesse ma sovvenzionò i comuni della Lega Lombarda e patrocinò, come garante, la firma del trattato di pace, un ruolo senza dubbio da superpotenza mediterranea.

Per concludere una nota di gossip: fu proprio durante questi fitti colloqui diplomatici che si imbastirono le trattative per il futuro matrimonio del figlio dell’Imperatore, Enrico VI con Costanza d’Altavilla, zia ed erede designata del Re di Sicilia Guglielmo II. Il matrimonio sarà celebrato non a caso proprio a Milano il 27 gennaio del 1186 e da questa unione nascerà lo stupor mundi Federico II, Re di Sicilia, duca di Svevia, Re dei Romani, Imperatore del Sacro Romano Impero e Re di Gerusalemme.

Foto - Spinello Aretino: Federico Barbarossa si sottomette all'autorità di Papa Alessandro III

mercoledì 1 dicembre 2021

Quando l’Italia poetava in siciliano, la Scuola poetica siciliana

Nei primi tre quarti del 13° secolo fiorì in Sicilia quella che è passata alla storia come la Scuola poetica siciliana. Essa fu il primo movimento italiano letterario che creò una vasta produzione lirica in volgare, i poeti si raccolsero alla corte di un sovrano illuminato, l’imperatore e re di Sicilia Federico II di Hohenstaufen e dei suoi figli Enzo e Manfredi. Un mecenatismo che si integrava in un più ampio e ambizioso progetto politico-culturale e che precorse quello dei principi rinascimentali.

Questi poeti appartenenti in gran parte alla cancelleria reale, come notai e giudici, erano soprattutto siciliani ma provenivano anche dall’Italia meridionale che allora faceva parte tutta del regno di Sicilia e da altre regioni d’Italia. Essi sposarono una poetica comune, che riprendeva la tradizione lirica provenzale che trattava l’amore cortese, utilizzando però, prima volta in Italia, come strumento letterario il proprio volgare siciliano, arricchito da francesismi e latinismi colti. Tale tendenza verso un comune ideale linguistico costituì un unicum nel panorama nazionale tale da rivestire una notevole importanza storico-letteraria. Venivano usate tre tipologie metrico-linguistiche, la canzone, la più aulica, la canzonetta e il sonetto, forma metrica inventata proprio dai siciliani e tanto seguita nei secoli successivi in tutta Europa, vedi il Petrarca e Shakespeare.
Nella Scuola possiamo quindi rintracciare la prima nascita della tradizione lirica italiana a cui si rifecero nei decenni successivi i poeti toscani che ereditarono la tradizione siciliana. I componimenti della Scuola diverranno famosi in tutta la penisola, poetare significava scrivere in siciliano aulico. Tra i suoi massimi esponenti ricordiamo Iacopo da Lentini inventore come dicevamo del sonetto, da Dante chiamato nel suo Purgatorio e da tutti conosciuto come il “notaro”. Altri poeti furono lo stesso Federico II, il figlio Enzo, suo suocero il re di Gerusalemme Giovanni di Brienne, poi Stefano Protonotaro, Giacomino Pugliese, Rugieri d’Amici, Guido delle Colonne, Mazzeo di Ricco, Pietro della Vigna, Rinaldo d’Aquino, Perzivalle Doria, Tiberio Galliziani, Compagnetto da Prato, solo per citarne alcuni.
Vediamo cosa dice Dante nel suo De vulgari eloquenzia: ‘E per prima cosa facciamo un esame mentale a proposito del siciliano, poiché vediamo che il volgare siciliano si attribuisce fama superiore a tutti gli altri per queste ragioni: che tutto quanto gli Italiani producono in fatto di poesia si chiama siciliano; e che troviamo che molti maestri nativi dell’isola hanno cantato con solennità, per esempio nelle famose canzoni “Ancor che l’aigua per lo foco lassi e Amor, che lungiamente m’hai menato”.
Ma questa fama della terra di Trinacria, a guardar bene a che bersaglio tende, sembra persistere solo come motivo d’infamia per i principi italiani, i quali seguono le vie della superbia vivendo non da magnanimi ma da gente di bassa lega. E in verità quegli uomini grandi e illuminati, Federico Cesare e il suo degno figlio Manfredi, seppero esprimere tutta la nobiltà e dirittura del loro spirito, e finché la fortuna lo permise si comportarono da veri uomini, sdegnando di vivere da bestie.
Ed è per questo che quanti avevano in sé nobiltà di cuore e ricchezza di doni divini si sforzarono di rimanere a contatto con la maestà di quei grandi principi, cosicché tutto ciò che a quel tempo producevano gli Italiani più nobili d’animo vedeva dapprima la luce nella reggia di quei sovrani così insigni; e poiché sede del trono regale era la Sicilia, ne è venuto che tutto quanto i nostri predecessori hanno prodotto in volgare si chiama siciliano: ciò che anche noi teniamo per fermo, e che i nostri posteri non potranno mutare’; trad. di P.V. Mengaldo.
Un primato letterario che dovrebbe, dunque, inorgoglire chi è siciliano.

giovedì 25 novembre 2021

Primati di Sicilia, il Grand Tour

Il Grand Tour, non è un primato prettamente siciliano ma rende l’idea di come fosse considerata la Sicilia in Europa nei secoli passati. Il Grand Tour era il giro d’Europa, inteso come viaggio di formazione, che aveva come meta privilegiata l’Italia e le sue bellezze, e che si diffuse come “moda” tra i giovani aristocratici europei nei secoli XVII-XIX. Coinvolse prima i giovani delle famiglie aristocratiche inglesi e successivamente degli altri paesi europei come i francesi e i tedeschi, tra essi c’erano anche molti artisti, pittori, scrittori eccetera. Mete fondamentali erano le città d’arte ma soprattutto Roma con i suoi resti archeologici e le sue collezioni d’arte e di antiquariato. Anche la Sicilia era una delle mete preferite del Grand Tour anche perché permetteva di ammirare oltre alla magia delle bellezze naturali, il fascino dell’antichità classica greca senza doversi per forza recare in Grecia, allora sotto il dominio turco ottomano. Senza dubbio i taccuini di viaggio e le tele degli artisti che la visitarono tra il settecento e l’ottocento catturarono usi, costumi e paesaggi che in gran parte, ahimè, sono oggi scomparsi.

Vediamo cosa dicevano al termine del Grand Tour alcuni illustri personaggi europei. La migliore descrizione della Sicilia appartiene allo scozzese Patrick Brydone che visitò l’isola dal maggio al luglio del 1770, ecco cosa disse dei siciliani “Tutti sono poeti; e tanto in musica che in poesia, le soavi composizioni d’amore sono dette Siciliane“, Lettera XXII da A tour through Sicily and Malta raccolta di lettere pubblicata nel 1773 e che ebbe grandissimo successo in tutta Europa.
Bellissime parole scriveva lo scrittore e architetto tedesco Friedrich Maximilian Hessemer, nelle sue Lettere dalla Sicilia all’inizio dell’800: “la Sicilia è il puntino sulla i dell’Italia, […] il resto d’Italia mi pare soltanto un gambo posto a sorreggere un simile fiore“.
Johann Wolfgang von Goethe, uno dei massimi spiriti poetici dell’Europa e del mondo, scriveva: “L’Italia senza la Sicilia non lascia immagine nello spirito: soltanto qui è la chiave di tutto” dal Libro di viaggio in Italia di Goethe «… l’ultimo uomo universale a camminare sulla terra» così lo definiva la scrittrice vittoriana George Eliot. Lo scrittore visitò la Sicilia provenendo da Napoli nel 1787, rimanendone estasiato, definì Taormina “Il più grande capolavoro dell’arte e della natura”. Ritornato poi a Napoli scrisse: “Sono felicissimo di possedere nell’anima, intera e nitida, la grandiosa, bella e incomparabile immagine della Sicilia”.
Altro celebre personaggio, lo scrittore francese Alexandre Dumas padre, autore di capolavori come Il conte di Montecristo e la trilogia de I tre moschettieri, circumnavigò la Sicilia effettuando il periplo dell’isola in barca nel 1835 raggiungendo le Eolie, ne scrisse poi un bel racconto di viaggio dal titolo “Dove il vento suona” in cui descrisse le isole come un paradiso perduto. Tornò una seconda volta in Sicilia, questa volta mettendoci piede, al seguito dello sbarco dei mille, e seguì Garibaldi da Palermo fino a Napoli. Pubblicò due opere ambientate in Sicilia, Pasquale Bruno e Viaggio in Sicilia, e definì Palermo “il paradiso del mondo”.
Altro grande scrittore romantico dell’ottocento che visitò, entusiasta la Sicilia, fu il romanziere francese Guy de Maupassant, che dedicò alla Sicilia due diari di viaggio. Nel primo dal titolo La vie errante del 1890, nel descrivere l’attraversamento da Messina alla volta delle Isole Eolie, inebriato dal profumo di zagara, scrisse: “Le rive della Sicilia e le coste della Calabria esalano un odore così intenso di aranci in fiore, che l’intero stretto ne è profumato”. Nell’altro suo diario di viaggio La Sicilia del 1885 definì l’isola “la perla del Mediterraneo” e “la dimora degli dei”.
A queste meravigliose dichiarazioni d’amore fanno da cornice le tele di illustri artisti, primo fra tutti il pittore francese Jean-Pierre Houël che dedicò alla Sicilia decine e decine di tavole. Houël che fu pittore, disegnatore e incisore arrivò in Sicilia nel 1776 e vi soggiornò tre anni, disegnando molte vedute e paesaggi. Al suo rientro in Francia raccolse i lavori in un libro che ebbe grandissimo successo in tutta Europa dal titolo Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malte et de Lipari.

lunedì 22 novembre 2021

Primati di Sicilia, gli spaghetti e i maccheroni

Fu in Sicilia, che a differenza di quanto si crede, nacquero gli spaghetti e i maccheroni, è opinione diffusa ch’essi furono introdotti in Europa da Marco Polo di ritorno dalla Cina ma non è così. Bisogna innanzitutto dire che questo primato alimentare siciliano nel mondo antico e medievale deriva dal fatto che proprio in Sicilia si coltivava il grano duro, da cui si ricava la semola, mentre altrove si coltivava maggiormente il grano tenero la cui farina era preferita per la panificazione. Dalla Sicilia spaghetti e maccheroni poi si diffusero gradualmente nel resto d’Italia e oltre.

La storia inizia con un libro del geografo arabo Edrisi, Il Libro di Ruggero, scritto alla corte del re normanno Ruggero II e consegnato allo stesso sovrano nel 1154 ben 100 anni prima della nascita di Marco Polo. In questo libro che anticipa quindi di un secolo la nascita dell’esploratore veneziano, a pag. 38 della versione tradotta dall’arabo dallo studioso Umberto Rizzitano leggiamo: “A ponente di Termini (Imerese) vi è l’abitato di Trabia … con vasti poderi, nei quali si fabbricano vermicelli“. Il Rizzitano specifica a pag. 145 che Idrisi chiama i vermicelli itrya, che in siciliano è divenuto tria. Nel catanese ad esempio abbiamo la triaca pasta, cioè pasta e fagioli. Sempre a pag. 38 Idrisi ci racconta che i vermicelli venivano esportati in gran quantità nel Sud Italia e nei paesi cristiani e musulmani.
Lo studioso di gastronomia alimentare Pino Correnti nel suo libro La gastronomia nella vita e nella storia del popolo siciliano del 1971 a pag. 12 scrive: “L’autore del Milione nasceva, infatti cento anni dopo che Idrisi aveva già reso nota ‘abitudine ai vermicelli siciliani in un’area vastissima del bacino sud-mediterraneo“. Quelli scoperti da Marco Polo in Cina erano molto probabilmente “spaghetti” di soia.
E i maccheroni? come spiega l’illustre storico siciliano Santi Correnti, nel suo libro Storia della Sicilia, il termine maccherone deriva dal siciliano maccarruni a sua volta dal verbo sempre siciliano maccari cioè “schiacciare, ammaccare”. In siciliano il maccu è il purè di fave. Lo studioso di gastronomia siciliana Felice Cunsolo nel suo saggio Il libro dei maccheroni. Tutto sulla pasta del 1979, scrive: “Le paste alimentari videro la luce in Sicilia dopo l’avvento della dominazione araba, ma non furono gli Arabi ad introdurvele. L’italiano “maccherone” non deriva dal basso latino maccaronis, bensì dal siciliano maccarruni: lo stesso maccaronis è ricalcato sul vocabolo siciliano“.
A conferma di ciò Santi Correnti cita un’opera teatrale, una commedia cinquecentesca, del fiorentino Giovanbattista Cini del 1569, dal titolo La vedova in cui due personaggi un siciliano e un napoletano litigano comicamente. Quest’ultimo appella il siciliano chiamandolo “mangiamaccheroni!“. Il Correnti commenta argutamente “il che certamente non sarebbe avvenuto, se i maccheroni fossero stati, come generalmente si crede, un cibo tipicamente napoletano“.
Riporta poi due versi di un poeta isolano del seicento, Paolo Catania da Monreale, che nel suo poema Teatro ove si rappresentano le miserie umane del 1665, avvertiva i siciliani così: E ti diranno fora li confini “Sicilianu mangiamaccarruni!” a conferma che i maccheroni fossero un cibo prettamente siciliano e non napoletano.
Un primato culinario siciliano dunque che tutti dovrebbero ricordare.

lunedì 15 novembre 2021

Parlamento siciliano, il primo in assoluto in senso moderno


Il Parlamento siciliano, il primo in assoluto in senso moderno, si contende il primato con altri tre parlamenti nordici, quello islandese creato nel 930 detto Althing, quello delle isole Fær Øer, il Løgting, e quello dell’isola di Man, il Tynwald. Si trattava negli ultimi due casi di assemblee consultive e non legislative, l’Althing invece aveva funzioni legislative e insieme anche giudiziarie come suprema corte giudicante.

Il Parlamento Siciliano invece può essere considerato il primo parlamento in senso moderno di uno stato sovrano. Risale all’anno 1097 la prima assemblea del Parlamento convocata a Mazara del Vallo, vicino Marsala, dal normanno Conte Ruggero il conquistatore della Sicilia. In questa prima adunanza furono convocati nobili e clero ma presto l’assise sarebbe stata allargata anche ai rappresentanti dei comuni.
Nel 1130 poi Ruggero II, sull’esempio del padre, convocò le Curiae generales a Palermo, nel Palazzo Reale, oggi detto dei Normanni, per la proclamazione del Regno di Sicilia. Nel 1239 poi, ben venticinque anni prima dell’Inghilterra, Federico II di Svevia convocò a Foggia per l’anno seguente, per la prima volta tre “bracci” del Parlamento, quello militare, quello ecclesiastico ed anche quello demaniale, cioè dei liberi comuni.
Era dunque il 1240, data che precede di 25 anni quella del Parlamento inglese, la cui convocazione ad opera del sesto Conte di Leicester, Simone di Montfort, avvenne il 14 dicembre del 1264 ma il Parlamento poi si riunì nel 1265. Sebbene non riconosciuto dal re inglese Enrico III con cui i nobili erano in guerra, quello inglese ebbe il primato dell’elezione, cioè i componenti, i cavalieri (i nobili) e i borghesi (rappresentanti cittadini) furono, su volere esplicito del Conte di Leicester, eletti dai propri connazionali. Esperienze simili si diffusero poi, nei secoli successivi, nei vari stati europei.
Dunque il Parlamento Siciliano rimase in carica fino al 1812, anno in cui fu modificato su esempio di quello anglosassone. Ricordiamo infatti che in quegli anni la Sicilia era sotto il protettorato dell’Inghilterra che così facendo la salvò dalle mire espansionistiche di Napoleone Bonaparte. Il Parlamento venne quindi riformato in senso bicamerale con una Camera dei Comuni e una Camera dei pari. Questo nuovo Parlamento ebbe vita breve perché con l’annessione del Regno a Napoli e la creazione del Regno delle due Sicilie, esso fu abolito nel 1816.
Il Parlamento tornò attivo nei moti del 1820 e del 1848-49, ma la vera rinascita invece si ebbe dopo la seconda guerra mondiale nel 1947, con il nome di Assemblea Regionale Siciliana in sigla ARS. Siamo ormai ai giorni nostri, per concludere dovete sapere che per Statuto l’ARS è, rispetto agli organi legislativi di tutte le altre regioni italiane, l’unica ad avere ancora una volta dignità di Parlamento.

Immagine: La Cour de l’empereur Frédéric II à Palerme, Arthur Georg Von Ramberg, olio su tela, Neue Pinakothek, Monaco di Baviera, Germania.

giovedì 11 novembre 2021

Primati di Sicilia, la letteratura siciliana

Va sottolineata l'importanza che la Scuola poetica siciliana ebbe nel XIII secolo per la nascita della letteratura italiana. Sia Dante nel De vulgari Eloquentia che il Petrarca nel prologo delle Epistolae Familiares e nel Trionfo d’amore ne riconobbero il primato.

Tuttavia in ambito letterario i primati della Sicilia non si fermano naturalmente qui, pensiamo ad esempio che nell’antichità fu proprio nella greca Sicilia che si ebbe l’invenzione del metro giambo, che conobbe grande diffusione nella poesia greca e latina, ad opera di Aristosseno da Selinunte, eravamo nel VII secolo a.C.
Duemila anni dopo invece alla corte di Federico II si ebbe, ad opera del “notaro” Jacopo (o Giacomo) da Lentini, l’invenzione del sonetto, altro metro tipico della lirica italiana composto da due quartine e da due terzine che ebbe poi grande diffusione in tutta Europa.
Ritornando ai primati della Scuola poetica siciliana, mi preme sottolineare che furono davvero molteplici. Oltre al sonetto di cui abbiamo detto, i poeti della corte di Federico II ebbero infatti il merito di essere i primi “trovatori” italiani, di aver forgiato in maniera compiuta una lingua poetica che fu la prima vera espressione letteraria italiana, di aver innalzato alla perfezione stilistica l’ideale dell’amore cortese ch’essi decantavano e di aver dissociato per primi la recitazione poetica da quella melodia musicale che fino ad allora aveva accompagnato la rappresentazione delle opere.
Ma parliamo di altri primati, è giusto qui ricordare infatti i nostri Premi Nobel per la Letteratura, non tutti sanno ad esempio che 2 dei 6 Premi Nobel italiani sono siciliani, anche questo è un primato nel primato. E dunque chi sono i Premi Nobel siciliani? Luigi Pirandello che vinse nel 1934 “per il suo coraggio e l’ingegnosa ripresentazione dell’arte drammatica e teatrale” e Salvatore Quasimodo nel 1959 “Per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi”.
Non dimentichiamo però anche gli altri giganti della letteratura siciliana: Giovanni Verga di cui ricordiamo tra tutte le sue opere “I Malavoglia” e “La Cavalleria rusticana“, Giuseppe Tommasi di Lampedusa autore del celeberrimo “Il Gattopardo“, Leonardo Sciascia di cui ricordiamo “Il giorno della civetta” e Elio Vittorini che scrisse nel 1941 il celebre “Conversazione in Sicilia”.
Un doveroso omaggio merita anche il contemporaneo Andrea Camilleri, che con il suo celeberrimo commissario Montalbano ha contribuito alla conoscenza della Sicilia, della lingua siciliana (seppur addomesticata all’Italiano) e delle nostre incantevoli bellezze paesaggistiche. In fondo chi non si è innamorato della Sicilia guardando la trasposizione televisiva del suoi celebri romanzi?
Per finire una curiosità che è essa stessa un piccolo primato, dovete sapere infatti che la nota Enciclopedia Italiana conosciuta come “Treccani“, fu finanziata si dal lombardo Giovanni Treccani e da questi prese il nome ma è in realtà opera di tre siciliani: il filosofo Giovanni Gentile per l’ideazione e la direzione, l’editore Calogero Tumminelli per la stampa e il filologo Antonio Pagliaro per la redazione.

Quando la Sicilia sfidava Bisanzio

Forse non in molti sanno che durante il Medioevo, la terra di Sicilia era ben diversa da com’è ora. Il Regno di Sicilia istituito da Ruggero...